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Accordare i cuori

2 Marzo 2022

Mercoledì delle Ceneri 2 marzo 2022

Nel terzo ed ultimo passaggio dell’Evangelo di oggi, Gesù, con un imperativo assoluto, ci insegna:

“Quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti”.

La malinconia è la negazione della gioia di un incontro, è l’ipocrisia di un lamento che non dà ragione della bellezza di un cammino condiviso nonostante le difficoltà. La malinconia esclude la risurrezione di Cristo e ci costringe ad una quaresima infinita, senza limiti, a tempo indeterminato. 

Il cristiano vive in un presente già risorto da Cristo, non si trascina nella storia con le tasche piene di cenere di gioia.

Nel lungo cammino che oggi iniziamo, la malinconia dovrebbe necessariamente lasciare il posto alla melodia che nasce, invece, dalla verità tangibile del contatto reale con Dio nella nostra vita!

Il contrario, il rumore, il lamento vengono dal demonio.

Se ci facciamo caso tutta la creazione non nasce da un ordine perentorio gridato, ma da un suono: «In principio… Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (Genesi 1,1.3). «In principio era la Parola… Tutto è stato fatto per mezzo di essa e senza di essa niente è stato fatto di ciò che esiste» (Giovanni 1,1.3). In un passo splendido dei discorsi finali di Dio che suggellano il libro di Giobbe il Creatore è raffigurato nell’atto di collocare la pietra di fondazione del cosmo, mentre «le stelle del mattino cantavano in coro e tutti i figli di Dio (cioè gli angeli) gridavano la loro gioia» (Giobbe 38,6-7).

All’interno della Bibbia c’è, infatti, una sorta di filo musicale che accompagna tutta la storia dell’essere e dell’umanità.

La musica ha lo scopo di farci ritrovare un’armonia segreta e religiosa sottesa a tutta la realtà, anche a quella che può apparire “dissonante” o “assurda” (cioè “sorda” dal lat. absurdus, di surdus «sordo»). 

È per questo, scrive il Card. Ravasi, che “lo stesso creato è concepito quasi fosse una musica cristallizzata, che ininterrottamente è disponibile all’ascolto umano: «I cieli narrano la gloria di Dio, il firmamento proclama l’opera delle sue mani…, senza discorsi e senza parole, senza che si oda alcun suono. Eppure la loro voce si espande per tutta la terra, sino ai confini del mondo la loro parola» (Salmo 19,2-5). Commentava san Giovanni Crisostomo (IV secolo): «Questo apparente silenzio dei cieli è una voce più risuonante di una tromba: questa voce canta non ai nostri orecchi ma ai nostri occhi la grandezza di chi ci ha creati». È suggestiva questa idea di una “musica silenziosa per la quale è necessario aprire una particolare sintonia o canale di ascolto”.

Elie Wiesel, scrittore ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, premio Nobel 1986 per la pace, in un suo libro aveva rispolverato una suggestiva allegoria giudaica. Quando Giacobbe, in fuga da Esaù, il fratello beffato, era giunto a Betel, secondo la Bibbia (Genesi 28,10-19) aveva avuto una visione: «una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa». Ebbene – continuava la parabola giudaica – alla fine gli angeli si dimenticarono di ritirare la scala che, perciò, rimase piantata sulla terra. 

È, così, divenuta la scala musicale le cui note angeliche permettono ancora a Dio di scendere e parlarci e a noi di ascendere in cielo per raggiungerlo. 

Questo intreccio tra musica e fede è, così, divenuto una costante per l’esperienza artistica e religiosa. 

È emblematico il fatto che Bach ponesse in capo alle sue composizioni la sigla “J.J.”, cioè Jesu Juva, “Gesù, aiuta!”, e le suggellasse con l’altra sigla “S.D.G.”, quel Soli Deo Gloria che esprimeva la sua convinzione che la gloria toccasse solo a Dio. 

L’appello del Salmista è preciso anche nell’indicare la qualità estetica e tecnica del canto liturgico: «Cantate inni con arte!» (Salmo 47,8). Il canto e la musica nella liturgia non ammettono approssimazioni! 

Ma già san Paolo ammoniva i Colossesi così: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali…» (3,16-17). Esortazione reiterata agli Efesini: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e salmeggiando al Signore con tutto il vostro cuore» (5,18-20). 

È per questo che il tacere del canto è visto come un emblema di giudizio. Quando sulla Babilonia imperiale passerà la tempesta della condanna divina, «il suono degli arpisti e dei musicisti, dei flautisti e dei suonatori di tromba non si udrà più in te… Il canto dello sposo e della sposa non si udrà più in te» (Apocalisse 18,22). 

Ma già nell’Antico Testamento l’oppressione non poteva che essere affidata al silenzio, come dice lo stupendo e tragico Salmo 137: «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo, ricordandoci di Sion. Sui salici, in mezzo a quella terra, appendemmo le nostre cetre. Sì, là ci chiesero parole di canto i nostri deportatori, canzoni allegre i nostri oppressori: Cantateci i canti di Sion! Come cantare i canti del Signore in terra straniera?». 

Cassiodoro, scrittore cristiano del VI secolo, ammoniva: «Se continueremo a commettere ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica».Anche per la Bibbia il silenzio o il rumore sono segno di maledizione. 

È per questo che il filo della musica accompagna l’intera esistenza illuminandola perché per allontanare il rumore dell’odio e raggiungere l’accordo della pace bisogna allentare le tensioni nella misura della vibrazione del cuore che, in certo qual modo, nasconde le sembianze di una corda musicale (di fatti, anche solo per una semplice assonanza, cuore in latino è cor-cordis).

L’irruenza, la rabbia, il rancore, una manovra istintiva provocano un eccesso di altezza dei suoni e nella musica chi tira troppo la corda esula dalla simultaneità armonica. La guerra è una stonatura.

Nella musica chi vuole essere il più forte per sentirsi “DI PIÙ” degli altri entra in totale disaccordo e, rompendo l’armonia con gli altri suoni, si isola nella noiosa monotonia del suo egoismo. 

La musica non nasce per farsi notare, ma per farsi nota per gli altri! Nota di insieme. “Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente”. (Mt 6,2)

Difatti la parola suono nella sua, se così si può chiamare, etimologia fonetica potrebbe significare “SUO-NO”, quel non appartenersi per accordarsi agli altri, quel saper rinunciare ai diritti d’autore delle proprie convinzioni, quell’indispensabile spazio di silenzio che intercorre tra una nota e l’altra senza del quale non ci sarebbe la musica, senza del quale non sarebbe possibile l’ascolto. La musica suonata non ti appartiene più. L’amore pronunciato, non ti appartiene più. La vita, donata, diventa musica.

La pace nasce dalla sinfonia dei cuori. La pace non ci appartiene, è un dono da conservare e da accordare continuamente per garantire la stabilità degli intervalli dei suoni che ci separano nella nostra differenza e ci legano nella struttura armonica dell’amore.

«La Quaresima ci ricorda ogni anno che il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno» (ibid., 11). Chiediamo dunque a Dio la paziente costanza dell’agricoltore (cfr Gc 5,7) per non desistere nel fare il bene, un passo alla volta…Abbiamo la certezza nella fede che «se non desistiamo, a suo tempo mieteremo» e che, con il dono della perseveranza, otterremo i beni promessi (cfr Eb 10,36) per la salvezza nostra e altrui (cfr 1 Tm 4,16). (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2022) 

La pace nasce dalla musica corale del reciproco ammainamento del proprio orgoglio. 

La distruzione è il rumore angosciante provocato da chi pensa che si possano ristabilire gli equilibri a suon di bombe. Ma le bombe non suonano.

Allora mettiamoci d’accordo e usiamo le armi della musica per riscoprire la bellezza della molteplice diversità che dà suono della vita. 

Come l’altra notte il suono di una chitarra in un garage di Kiev trasformato in un rifugio, ebbe la capacità di regalare un po’ di serenità dispersa. 

Come l’orchestra del Titanic. Quando appresero che la nave aveva urtato un iceberg, il 14 aprile 1912 alle 23.40, gli otto musicisti si riunirono per suonare nel salone di prima classe. L’orchestra cominciò a suonare dei motivi allegri per evitare il propagarsi del panico tra i passeggeri. Cominciarono a suonare verso mezzanotte e un quarto. Un po’ più tardi l’orchestra si spostò verso il grande scalone dove si trovava un pianoforte. La notte avanzava e i passeggeri cominciarono ad ammassarsi sul ponte per prendere posto sulle lance di salvataggio. Anche l’orchestra vi si recò e restò lì fino a che morirono tutti. 

E chissà quante ninna nanna le nostre mamme ci hanno cantato per liberarci dai pensieri brutti e farci addormentare sereni! 

Deponiamo allora le armi che fanno rumore. 

La musica è di Dio. Lui ci dà il La.

Ma accordarci è compito nostro.

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