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Chi cenere, cerne… Chi non cenere, non cerne

18 Febbraio 2021

Omelia del Mercoledì delle Ceneri 2021
feat Alessandro D’Avenia

“E il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà”.
È il ritornello che chiude le strofe dell’Evangelo di Matteo che abbiamo ascoltato oggi e che sintetizza, in forma litanica, l’imperativo di apertura:
“State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli”.
Questo “stai attento che Dio ti vede!”, per tanti secoli, ha delineato un’immagine distorta di un Dio che, noncurante di ogni norma sulla privacy, quasi fosse dedito ad un eccessivo voyeurismo moralistico, ammonisca: “Guarda che ti vedo, stai attento!”, deformando il dialogo libero e sereno tra Lui e l’umanità intera e incutendo un malsano senso ti terrore.
La preghiera, il digiuno, l’elemosina, certamente, come tutta la vita intera, non possono essere finalizzati all’approvazione sociale e a garantire più visibilità ai nostri gesti. Non si vive per racimolare un “like” in più e non si fanno scelte per sentirsi maggiormente osannati dal pubblico spettatore. Diventeremmo schiavi delle nostre stesse azioni e la nostra esistenza, priva di libertà, si conformerebbe agli indici di gradimento altrui, ad un vero e proprio share esistenziale, ma nel senso più proprio del “dividere”, “frantumare” la propria identità!
Il segreto biblico, allora, diventa non tanto il tentativo di Dio di scoperchiare il “non detto” dell’uomo, ma il luogo dove si realizza pienamente la sua relazione intima con la verità.
SECRETUM è il participio passato del verbo latino secérnere composto da “se” che è la particella che indica separazione e “cernere” che significa “distinguere”, “mettere da parte”, “scegliere”, “separare”. In italiano utilizziamo spesso la parola “cernita” per significare una scelta accurata. Il segreto è l’ambiente scelto, privilegiato in cui l’amore diventa verità, perché non è osservato, tantomeno giudicato. Il segreto è la scelta dell’amore.
Qui non assume il colore della oscurità recondita, ma le caratteristiche della trasparenza massima, perché il segreto è il custode del “se” in valore assoluto.
Il suo contrario, quindi, non è affatto “verità”, “scoperta”, “pubblico”, “rivelato”, bensì VERGOGNA. Proprio così. Vergogna!
Quella dolorosa emozione che provoca uno stato di profondo dolore, di eccessiva inadeguatezza.
La vergogna nasce dalla paura di perdere la faccia davanti al mondo intero. Quando ci vergogniamo, infatti, temiamo di non riuscire o siamo dispiaciuti per non essere riusciti a dare agli altri e a noi stessi una buona immagine di noi.
Se mi permettete un’etimologia inesistente e a dir poco stravagante, direi che vergogna è una parola composta che significa “gogna della verità”. Se ci fate caso, difatti, la vampata paonazza che la contraddistingue traduce fisicamente un grosso errore di valutazione: “io non sono buono”, “io non valgo a niente”, “io ho un fisico brutto”, “io sono un buono a nulla”, “io ho un corpo indecente”, “io non valgo nulla”.
Allarme ROSSORE!!!: nasconditi, nasconditi ancora di più, ancora di più, ancora di più…Sotterrati.
Chi si vergogna di se stesso, si nasconde al mondo talmente bene che il sepolcro diventa il luogo più rassicurante in assoluto. Chi si vergogna di vivere è già morto da tempo, anzi meglio, sceglie di morire al tempo.
Genesi 2 al versetto 25 ci racconta che l’uomo e la donna, nel giardino dell’Eden, erano nudi, e non provavano vergogna. In seguito, però, al capitolo 3, a causa del peccato, il Signore Dio chiamò l’uomo con una domanda ben precisa: “Dove sei?”. “E l’uomo rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino: HO AVUTO PAURA, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”.
La vergogna disorienta l’uomo che non sa più dove si trova, dove si colloca, chi è realmente, poiché lui è delocalizzato nelle coordinate dei parametri di giudizio altrui. Il suo voler raggiungere la conoscenza di Dio, gli impone di non manifestare tutte le sue caratteristiche temporali e contingenti. Se sei Dio, non ti puoi consumare. Se sei Dio non puoi invecchiare. Se sei Dio non puoi sbagliare e non puoi nemmeno sbadigliare! Se sei Dio non puoi essere cenere!
Adamo aveva speso tutta la sua vita a tentare di dimenticare di essere nato da quella misera polvere primordiale e più tentava di celarla per paura che si scoprisse la sua mortalità, più moriva a se stesso e al mondo.
Non aveva affatto capito che quella cenere era stata scelta e amata da Dio ed era il segno della sua origine, più che della sua morte; della sua originalità, più che della sua fragilità.
Anzi! Quella cenere era la cernita di Dio, il suo segreto: ha scelto di lasciare la sua eterna stabilità e assumere la linea deformata del nostro tempo; ha scelto di abbandonare la sua vita inossidabile e diventare misera polvere irregolare; ha scelto di lasciare la potenza della sua onnipotenza, per diventare tremore impotente al freddo e al gelo; ha scelto di diventare cenere sulla croce e farina di vita per tutti.
E allora il segreto di Dio è anche il tuo segreto.
Perché non scegli di amare quella tua imperfezione? Perché non scegli di amare i tuoi limiti? Perché non scegli di non vergognarti più di te stesso, della tua vita, del tuo lavoro, dei tuoi genitori, di tuo marito, di tua moglie, della tua malattia, del tuo grasso eccessivo, dei tuoi fallimenti, dei tuoi figli, del tuo aspetto scheletrico, della tua disoccupazione, della tua balbuzie, della tua fragilità, del tuo dito storto?

Un giorno di tempesta burrascosa qui a Polignano stavo per scendere di casa verso le otto del mattino, quando mi imbatto in un libro che mi avevano regalato a Natale e che avevo poggiato sul comodino, ma non avevo ancora aperto (i libri si tengono sempre sul comodino perché, anche se non ti va, prima o poi ti viene la tentazione di aprirli!!).
L’ultimo romanzo di Alessandro D’Avenia “L’appello”.
L’ho aperto, ma giusto per scagionarlo dal suo stato intonso e per capire di cosa parlasse. Così, pagina dopo pagina, mi sono risvegliato dalla trance della lettura alle tre del pomeriggio, che lo avevo finito. Un libro che ti prende e ti coinvolge inesorabilmente in un vortice emotivo, come pochi!
Non mi permetto minimamente di “spoilerarne” la trama o peggio ancora la fine, ma “ad un certo punto” il professore co-protagonista insieme ai suoi alunni narra loro un’antica favola nordica, tramandatagli da suo padre, sulla nascita del popolo degli elfi.
Un giorno Dio andò a trovare Adamo ed Eva che vivevano in una casa in mezzo al bosco. I due gli mostrarono i loro figli e le loro figlie con orgoglio presentandoli, uno per uno, con i loro nomi. Poi Dio chiese a Eva se non avessero altri figli oltre a quelli che gli aveva già̀ presentato. La donna rispose di no; ma la verità era che Eva non aveva ancora lavato tutti i suoi bambini e si vergognava a farli vedere a Dio: per questo li aveva nascosti. Dio dunque disse: «NASCONDERE ALLA VISTA È NASCONDERE ALLA VITA». Così quei bambini diventarono subito invisibili a tutti e dimorarono nei boschi. Per questo sono imprevedibili e dispettosi perché vivono nella vergogna di essere stati nascosti dai loro genitori.
E il padre aggiungeva sempre: “Ricordati che più vuoi apparire perfetto, più figli stai nascondendo all’amore”.
Continua D’Avenia: “Ricreare la vita significa accoglierla totalmente […] senza nascondere i nostri figli che non crediamo all’altezza, gli aspetti di noi che riteniamo vergognosi e non vogliamo mostrare per paura di essere giudicati e disprezzati. […] Ciò che viene nascosto all’amore rimane per sempre nascosto. Quando smettiamo di aver paura di non essere all’altezza della vita, solo allora cominciamo a lasciarci amare e ad amare veramente, a partire proprio dal punto in cui ci credevamo sconfitti”.
Scegli di uscire dalla tomba segreta della tua vergogna e apriti alla luce nuova dell’amore: “E il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà”.

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