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Giovedì Santo 13 aprile 2017

14 Aprile 2017

Giovedì Santo 13 aprile 2017

Messa nella Cena del Signore

Lavanda dei piedi ai catechisti

 

Questa sera voglio lavare i piedi ad alcuni rappresentanti dei catechisti della nostra Parrocchia, che svolgono un ruolo di vitale importanza per la nostra Comunità, non per parlare ad un gruppo di persone specializzate a svolgere un compito particolare nella chiesa, ma a ciascuno di noi. Perché ciascuno di noi in virtù del battesimo è in se stesso un catechista.

Il Vangelo di questa liturgia ci offre almeno 7 parole chiave che delineano, in maniera molto luminosa, l’azione catechetica

 

1) sapendo che era venuta la sua ora

Catechesi deriva dal sostantivo greco katèkesis = istruzione, insegnamento a viva voce, dottrina e addirittura accompagnamento musicale. Questo sostantivo deriva dal verbo katekèo, formato da katà (verso giù, dentro, riguardo a ) ed ekèo ( fare risuonare nelle orecchie, istruire a viva voce  e quindi istruire nella dottrina ). Il verbo deriva dal sostantivo èkos = suono, fragore eco, ma anche ronzio/ rimbombo nelle orecchie di parole e/o musica.

Quindi la catechesi non è una semplice istruzione, ma una parola bella (tanto che Evangelo deriva come ben sappiamo da euanghèlion (eu + anghèllo) : portare un messaggio, una bella notizia) che entra nelle mie profondità e riecheggia come musica che mi prende da dentro. Non si tratta di inculcare qualcosa dentro qualcuno, tantomeno di convincere, spingere nel cervello; ma si tratta di far riecheggiare il suono di una parola attraverso lo strumento musicale della mia vita, come un motivo simpatico. Non so se a volte vi è capitato di canticchiare inconsciamente la stessa canzone che stava cantando un’altra persona. E magari ti chiedi: “Ma stiamo cantando la stessa canzone? O forse l’ho sentita? Chissà!”. E’ un meccanismo interiore che ti fa condividere cose senza forzare, ma solo con la forza della eco.

La catechesi è stata sempre considerata dalla chiesa come uno dei suoi fondamentali doveri, poiché prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli apostoli un’ultima consegna, oggi diremmo un vero e proprio testamento:

19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (Mt 28,19-20)

E come tutte le ultime parole, quelle dell’ultima ora, vanno onorate e rispettate più di ogni altre, perché sono cariche di quel valore aggiunto che è l’affetto finale di una volontà in extremis: sono quelle parole che ti rimangono impresse nella mente per tutta la vita.

 

2) Li amò sino alla fine

La catechesi è una questione di amore. È una vocazione. Mai un dovere o un compito da assolvere, quello che il parroco ti ha dato.

Gesù ha affidato ai discepoli la missione ed il potere di annunciare agli uomini non racconti favolosi, ipotesi narrative o storielle leggendarie, ma una realtà vera e concreta, che loro stessi avevano sperimentato con i loro sensi e quindi, senza allargare troppo il senso della parola, potremmo dire un Vangelo sensazionale!

1Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita […] noi lo annunciamo anche a voi. (1Gv1,1-3)

La premessa di ogni forma di evangelizzazione è, parafrasando un antico adagio latino, che “nessuno può dare quello che non ama”.

Io non posso parlare della bellezza di Roma se non ci sono mai stato. La posso studiare dai libri, posso dare indicazioni su cartine geografiche, posso parlarne per sentito dire, ma non riuscirò mai a condividere la passione della bellezza che deriva esclusivamente dal fatto concreto che “io ci sono stato”, oppure “io c’ero”, che “io l’amo”. Carissimi amici, non possiamo annunciare la bellezza di Cristo se non lo abbiamo visto in faccia; non possiamo parlare di Cristo se non abbiamo mai parlato con Lui. L’annuncio non è una ripetizione di un concetto, ma la condivisione di tutto ciò che il cuore non riesce a trattenere dopo avere incontrato Gesù. Quando tu incontri una persona speciale, ti avvicini, gli chiedi un autografo, ti fai un selfie e, in un istante, tutti sanno di quella tua esperienza meravigliosa, perché la condivisione di quella emozione non è un dovere, ma la naturale esigenza di dire a tutto il mondo la tua gioia infinita, che il tuo cuore non può contenere. E tu ti sei mai fatto un selfie con Gesù?

Quanto tempo trascorri con Lui? Incroci il suo sguardo nella Eucaristia? Lo ami? Ti vergogni a dire al mondo quanto lo ami? Hai la voglia di comunicare sui tuoi social che lo hai conosciuto e ti ha cambiato al vita? Eppure sulle nostre bacheche virtuali mancano i ricordi con Lui, mancano le frasi per Lui. Non riusciamo in realtà mai a taggarlo per rendere pubblica l’etichetta che ci contraddistingue, che non è semplicemente “sono cristiano”, ma è: “Io amo Gesù”. La prima forma di catechesi è l’amore.

Se due genitori vogliono insegnare ai propri figli a volersi bene, non è sufficiente che dicano loro: ”Guardate che papà e mamma sono sposati!”, devono dimostrare loro apertamente quanto si amano, senza amarsi di nascosto e senza aggiungere tante altre parole.

E l’amore manifestato, è una parola bella gridata nel silenzio.

In una bellissima esortazione apostolica
dei primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, e precisamente del 1979, che si chiama “CATECHESI TRADENDAE” e che vi consiglio vivamente di leggere, al numero 68, così è scritto

 

“L’azione catechetica della famiglia ha un carattere particolare e, in un certo senso, insostituibile, giustamente sottolineato dalla chiesa e, segnatamente, dal concilio Vaticano II. Questa educazione alla fede da parte dei genitori – educazione che deve iniziare dalla più giovane età dei figli – si esplica già quando i membri di una famiglia si aiutano vicendevolmente a crescere nella fede grazie alla loro testimonianza cristiana, spesso silenziosa, ma perseverante nel ritmo di una vita quotidiana vissuta secondo il vangelo. Essa è più incisiva quando, in coincidenza con gli avvenimenti familiari – quali la recezione dei sacramenti, la celebrazione di grandi feste liturgiche, la nascita di un bambino, una circostanza luttuosa – ci si preoccupa di esplicitare in seno alla famiglia il contenuto cristiano o religioso di tali avvenimenti”.

Ecco perché alla catechesi delle tante parole, Gesù ci insegna la catechesi dalla parola amore.

 

3) si alzò da tavola

La catechesi non è mai un’azione sedentaria, statica. Se pensi che il tutto si risolva nel fare quell’oretta di catechismo alla settimana, sappi che quella non è catechesi. Gesù per predicare l’Evangelo ha girato a piedi in lungo e in largo tutta la sua terra senza fermarsi mai. Quante volte i Vangeli aggiungono ai passi di Gesù “perché doveva passare di là”. Quante volte Gesù ha allungato il suo percorso perché doveva andare ad incontrare quella persona, proprio quella lontana da Dio, proprio quella più peccatrice che mai.

Cari amici è ora di alzarsi da tavola, la catechesi si fa in piedi.

Conosci le case dei tuoi ragazzi? Sei mai entrato nelle loro abitazioni? Sei mai andato a trovare una persona lontana da Dio? Sei mai entrato nella sua casa? Hai mai cambiato strada per annunciare il Vangelo a chi cammina nel senso opposto al tuo?

La catechesi non ammette indolenze, pigrizie, non si accontenta di una lezione cattedratica. La catechesi si fa andando, consumando la suola delle scarpe, e spesso andando anche dove non avresti mai voluto andare.

Io la chiamo, con una parola buffa, CATACHISMO, dal greco tachys, veloce, una catechesi dinamica capace di raggiugere i luoghi e le abitazioni non cristiani della nostra società.

 

Al numero 57, così si legge nella Catechesi Tradendae:

“Si parlava molto, qualche anno fa, di mondo secolarizzato e di èra post-cristiana. Le mode passano…; resta, però, una realtà profonda. I cristiani di oggi debbono essere formati per vivere in un mondo che per larga parte ignora Dio o che, in materia religiosa, al posto di un dialogo esigente e fraterno, stimolante per tutti, decade troppo spesso in un indifferentismo livellatore, quando non resta arroccato in un atteggiamento sprezzante di «sospetto», in nome dei suoi progressi in materia di «spiegazioni» scientifiche. Per riuscire a «tenere» in questo mondo, per offrire a tutti un «dialogo di salvezza», nel quale ciascuno si senta rispettato nella sua dignità veramente fondamentale, quella di ricercatore di Dio, noi abbiamo bisogno di una catechesi che insegni ai giovani ed agli adulti delle nostre comunità ad essere lucidi e coerenti nella loro fede, ad affermare con serenità la loro identità cristiana e cattolica, a «vedere l’invisibile» e ad aderire così fortemente all’assoluto di Dio, da poterlo testimoniare entro una civiltà materialista, che lo nega”.

 

4) depose le vesti

Se la catechesi non è un indottrinamento, tantomeno una lezione, vuol dire che non è un trasferimento di dati che abbiamo appreso. Non è che chi più sa più è catechista e non è nemmeno richiesta la laurea per assolvere a questa vocazione. La mole degli argomenti che si conoscono, la fruizione dello scibile umano non dicono l’efficacia della catechesi. Anzi al contrario. A volte gli insegnamenti più belli nascono quando la vita ci mette a nudo, ci sveste di ogni nostra conoscenza. È lì che tu puoi insegnare a partire da quello che la vita non ti ha dato o addirittura ti ha tolto.

Pensate ai nostri nonni che ci hanno insegnato il valore del cibo mentre ci raccontavano che, otto figli, avevano un pezzo di pane duro da mangiare quando andava bene! Pensate a quanti malati terminali ci hanno insegnato ad amare la vita e ad apprezzarne il senso anche se dura e faticosa.

Quando qualche mese fa ho perso mio padre pensavo di aver perso la persona che più mi aveva insegnato nella mia esistenza. Dopo la sua morte ho capito che ancora lui mi dà insegnamenti con la sua presenza/assenza. Ora so che significa quando qualcuno soffre per la perdita di un genitore, lo so sulla mia pelle, nel mio cuore, nella mia mente. E per quanto duro possa essere, questa conoscenza me l’ha regalata mio padre, non i testi di teologia che ho studiato. E quando tu dici ad una persona, in un momento di grande dolore, “Ti capisco”, in quel momento hai fatto al catechesi più grande del mondo. Non gli hai dato una soluzione, ma gli hai indirettamente detto che c’è un Dio che attraverso tanti fratelli e sorelle ti sta vicino e non ti abbandona mai, perché ti capisce e per te si è addirittura spogliato della sua divinità.

Al numero 9 di Catechesi Tradendae:

“Non dimentico che la maestà del Cristo docente, la coerenza e la forza persuasiva uniche del suo insegnamento si spiegano soltanto perché le sue parole, le sue parabole ed i suoi ragionamenti non sono mai separabili dalla sua vita e dal suo stesso essere. In questo senso, tutta la vita del Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l’uomo, la sua predilezione per i piccoli e per i poveri, l’accettazione del sacrificio totale sulla croce per la redenzione del mondo, la sua risurrezione sono l’attuazione della sua parola ed il compimento della rivelazione. Talché per i cristiani il Crocifisso è una delle immagini più sublimi e più popolari di Gesù docente”.

 

Sulla croce Dio è nudo, senza vergogna. Per te ha rinunciato a tutto, si è messo a nudo. E quando tu soffri Lui è con te, non alle pezze, ma di meno: completamente nudo.

 

5) e cominciò a lavare i piedi dei discepoli

La catechesi della parola non può distanziarsi da quella dell’azione. Quella sera prima della sua morte Gesù lascia un testamento scritto non con parole, ma in un’azione silenziosa. Lava i piedi. Fa qualcosa. Se il catechista non fa qualcosa che rimanda al sacrificio di Cristo, le sue parole rimangono vane. Quante volte la gente stessa, con sdegno, ci ha detto che le nostre parole non corrispondono al nostro agire!

La Costituzione Dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano II, la Dei Verbum, al numero 2, così riporta:

“Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto”.

“gestis verbisque intrinsece inter se connexis”: è questo il segtreto intrinseco di ogni azione nella chiesa. Parole e gesti devono sempre essere connessi.

Chissà quante volte ci siamo lasciati sorprendere da un gesto di una persona che ci ha sconvolto per quanto Vangelo conteneva e ci siamo convertiti. Magari quella persona non lo saprà mai, ma per noi è stata una catechesi vivente e visibile. Perché una catechesi che non si tocca, non funziona.

 

Catechesi Tradendae, numero 22

“E’ vano contrapporre l’ortoprassi all’ortodossia: il cristianesimo è inseparabilmente l’una e l’altra cosa. Le convinzioni ferme e ponderate spingono all’azione coraggiosa e retta: lo sforzo per educare i fedeli a vivere oggi come discepoli del Cristo esige e facilita una scoperta approfondita del mistero del Cristo nella storia della salvezza. […]

La catechesi autentica è sempre iniziazione ordinata e sistematica alla rivelazione che Dio ha fatto di se stesso all’uomo in Cristo Gesù, rivelazione custodita nella memoria profonda della chiesa e nelle sacre scritture, e costantemente comunicata, mediante una trasmissione vivente ed attiva, da una generazione all’altra. Ma una tale rivelazione non è isolata dalla vita, né a questa è giustapposta artificialmente. Essa riguarda il senso ultimo dell’esistenza che essa stessa illumina completamente, per ispirarla o per esaminarla alla luce del Vangelo.

E’ per questo che possiamo applicare ai catechisti ciò che il concilio Vaticano II ha affermato in maniera particolare dei sacerdoti: educatori – dell’uomo e della vita dell’uomo – nella fede”.

 

6) «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo»

Questa è la risposta che Gesù dà ad un Simon Pietro reticente. Una risposta che un po’ ci tranquillizza e un po’ ci incoraggia ad andare sempre avanti senza arrenderci mai. Tutti i nostri sforzi, tutti i nostri sacrifici per organizzare catechesi belle e accattivanti, tutti i buoni esempi di tanti genitori per educare al meglio i loro figli e poi… risultati zero! I nostri gruppi sempre più affievoliti, a Messa sempre meno presenze. E quanti figli educati ad una partecipazione attiva, poi si discostano dalla fede!

E lì si innescano i sensi di colpa: “Ma sarò un bravo catechista?”; “Ma sono una brava mamma?”; “Mi sento un padre fallito”; “I mei alunni ormai non mi seguono più”.

Attenzione non è dai risultati immediati che si giudica l’esito di una catechesi, che è pur sempre il seme della Parola di Dio gettato in un terreno. E quel seme è suo, non è nostro. E Lui, nel tempo è capace di tutto, aldilà delle nostre aspettative! È lo Spirito l’unico vero Maestro! E lo Spirito può parlare al cuore di un uomo in qualsiasi momento, nel tempo e in un tempo che non stabiliamo noi. Quello che ora noi stessi non capiamo, un giorno Lui ce lo insegnerà.

L’importante in ogni catechesi è sempre dare l’esempio.

7) Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi

La catechesi di Gesù è un esempio perché anche noi facciamo come Lui. L’evangelista Giovanni utilizza il termine greco “hupodeigma” che deriva dalla preposizione hupò (sotto, dentro) e dal verbo “deiknumi” che significa insegnare, dimostrare. Allora l’esempio è un’azione così potente, che è capace di insegnare qualcosa che ti rimarrà “dentro” per tutta la vita anche se tu non la riconosci, anche se non te ne accorgi. Arriverà il tempo in cui, quell’esempio si trasformerà in comportamento. Ma tu questo tempo non lo potrai mai prevedere.

Ti basta, questa sera, contemplare, il Dio di Gesù Cristo che per insegnarti quanto ti ama, non si è limitato a scriverti un messaggio, ma ha voluto abbassarsi a livello della tua povertà per dirti che, anche se anche di catechismo non ci capisci niente, Lui non si allontanerà mai da te e te lo ritroverai sempre tra i piedi.

don Gaetano

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