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Grazie

22 Febbraio 2015

Parrocchia “Santa Maria Assunta”

Polignano a Mare, 31 ottobre 2009

 

  1. “Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”. (Sal 145,2)

 

è trascorso un anno da quando questa Comunità parrocchiale ha voluto accogliere me e don Giancarlo a proseguire l’opera pastorale di Don Vito Benedetti. Un’accoglienza indimenticabile, fortemente vissuta, profondamente calorosa che non si è limitata all’evento puntuale della celebrazione di inizio parrocato, ma che ha mantenuto la stessa intensità per tutti questi giorni! Non ci avete fatto mancare alcunché. Quanti anziani e ammalati continuano a pregare per noi, quante famiglie ci hanno aperto le porte delle loro case, quanti giovani ci hanno travolti nel vortice del loro entusiasmo, quanti bambini ci hanno sollecitato a non crescere mai!

Grazie!

Una gratitudine che nel senso più letterale e in quello più spirituale del termine oggi diventa “Eucaristia”, un rendimento di grazie grande quanto è largo il cuore di Dio, senza dimensioni: il termine deriva dal verbo greco eu™xariste@o che significa ringraziare, essere riconoscente.

Ogni volta che celebriamo insieme la Santa Messa diciamo grazie a Dio e, nello stesso tempo, ci nutriamo della forza di questa gratitudine. Ringraziare, infatti, non significa solo pagare un debito di riconoscenza, ma liberare l’esigenza di comunicare quanto è bello sentirsi amati e questa comunicazione libera in noi le forze che ci permettono di vivere la vita quotidiana. Mentre diciamo la parola “grazie”, il suono cede il posto alle vibrazioni del cuore che si ricarica dei battiti del destinatario di quella parola. Un po’ come funzionano gli orologi meccanici: più è veloce il ritmo cardiaco, più si muove il polso, più si ricaricano!

Chi non sa ringraziare è debole, atonico, guarda alla propria esistenza come ad un dovere faticoso da trascinare quotidianamente con tanta stanchezza. Chi non vuole ringraziare, invece, si crede potente della propria fragilità, non ha bisogno di alcuno, vive di se stesso, è cannibale della propria storia destinata inesorabilmente a finire.

Tanti suicidi si traducono, in realtà, in un “morire di fame” perché l’autoconsumazione delle proprie energie provoca l’inedia della felicità, la carenza di vitamine interiori necessarie al sostentamento del proprio organismo. Se non diciamo grazie ogni giorno rischiamo il collasso della vita, l’apnea del senso della nostra storia.

Per dirla in termini più chiari, viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”. […] la nostra epoca sarebbe passata dal mito dell’onnipotenza del’uomo costruttore della storia ad un altro mito simmetrico e speculare, quello della sua totale impotenza di fronte alla complessità del mondo. Si sta ormai affermando l’idea che l’uomo non possa far altro che subire le forze irrazionali della storia” (M. Benasayag- G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Ed. Feltrinelli, Milano 2009, 20-22).

 

La crisi della nostra società è anche la crisi della gratitudine. Provate a pensare quante volte non ringraziamo, quante volte pensiamo che sia scontato farlo, come se la parola “grazie” fosse sempre barrata sui banconi delle offerte speciali dei grandi magazzini della storia. Mamma, ogni giorno, cucina per te: la ringrazi ogni giorno? Tuo marito ogni giorno lavora per te: gli dici grazie? Tua moglie ogni giorno si prende cura di te, la ringrazi ogni giorno? I tuoi genitori ogni giorno ti permettono di studiare: questo prezzo non è scontato. Certo sarebbe buffo ringraziare per l’amore ricevuto come scrive Daniel Pennac: “Non si può dire grazie a una persona che ci fa dono del suo amore. Non sarebbe.. Provateci: “Ti amo”. “Molte grazie”. Non è una risposta soddisfacente….” (D. Pennac, Grazie, Ed. Feltrinelli, Milano 2004, 54.)

Ringraziare, però, è riconoscenza di un dono che rende pregnante la tutta la vita, è riconoscere che non si può vivere estraniati dagli altri: fino a quando potremo dire grazie negli occhi di qualcuno, non resteremo mai soli.

 

  1. “Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge”. (Es 16,4)

Ci capita, in genere, di ringraziare il Signore in momenti particolari della nostra vita, momenti di particolare entusiasmo, eventi unici, manifestazioni clamorose. Il ringraziamento, in realtà, è il dono perenne di un amore instancabile che non finisce mai di comunicarsi, per cui è eterno, quotidiano, feriale. Anche i periodi “ovvi” vanno valorizzati nelle dinamiche della gratitudine, altrimenti rischiamo di fare come quei genitori falliti che tentano di comprarsi l’attenzione dei figli ricoprendoli di regali eccezionali e non di presenze ordinarie. Ogni giorno è necessario ringraziare: un giorno senza gratitudine è un attimo che tramonta in fretta; un giorno di gratitudine diventa storia indimenticabile. Non sarebbe male, anzi, ringraziare non soltanto per i doni ricevuti, ma anche per quelli non ricevuti o non ancora elargiti. È bello ringraziare il Signore a prima mattina per il dono della vita e per tutti i doni, che non si conoscono, ma che sicuramente darà. Quante volte i nostri genitori ci hanno detto: “Non voglio regali da te, voglio la tua presenza” e quante volte noi ripetiamo anche ai nostri amici più cari o inviamo sms del tipo “Grazie xchè c 6!”. Il ringraziamento è la consapevolezza di una presenza grata.

Una delle forme più esplicite di ringraziamento ordinario, è legata ai ritmi biologici dell’uomo. Il respiro richiama alla vita, alla preghiera del mattino con cui si ringrazia il Signore per aver ricevuto la possibilità di rivedere la luce del sole. I padri esicasti, addirittura, legavano la preghiera litanica ad ogni respiro, cosicché tutta l’esistenza potesse immergersi nell’afflato dello Spirito Santo, istante dopo istante. La fame, inoltre, richiama all’esigenza del pasto quotidiano: NON SI PUO’ COMINCIARE IL PASTO PRIMA CHE LA FAMIGLIA SIA INTERAMENTE RIUNITA E SI RECITI INSIEME LA PREGHIERA DI BENEDIZIONE! La preghiera sui pasti ha una duplice valenza: ci fa riconoscere che tutto quello che abbiamo è frutto della terra, del nostro lavoro e della Provvidenza di Dio; eleva il livello istintuale della nostra famelicità al livello spirituale di appuntamento che ci sollecita alla preghiera, una sorta di sveglia dello spirito. Questa preghiera è, inoltre, una delle più alte forme di testimonianza della nostra fede. Provate a cominciare a recitarla nelle vostre case; poi provate a recitarla quando siete ospiti di altre famiglie; provate a recitarla con gli amici prima di “azzannare” un triangolo in pizzeria; oppure prima di mangiare uno snack in aereo, in una carrozza di un treno; provate a recitarla su uno scoglio della nostra Città, in piena estate, durante una pausa bagno. Non è detto che bisogna essere per forza seduti a tavola: il cibo è cibo ovunque, la fame è fame ovunque, la fede è fede ogni giorno. Non è semplice! È una vera e propria testimonianza che costa, un vero martirio quotidiano.

 

  1. “[…] Salomone si alzò davanti all’altare del Signore, dove era inginocchiato con le palme tese verso il cielo, si mise in piedi e benedisse tutta l’assemblea di Israele a voce alta: […] Queste mie parole, usate da me per supplicare il Signore, siano presenti davanti al Signore, nostro Dio, giorno e notte, perché renda giustizia al suo servo e a Israele, suo popolo, secondo le necessità di ogni giorno”. (1Re 8, 54-55.59)

 

In quest’anno, che Papa benedetto XVI ha voluto di particolare attenzione nei confronti dei sacerdoti, additando loro, la figura splendente di San Giovanni Maria Vianney come modello dell’incarnazione dell’unico sacerdozio di Cristo Signore, non possiamo non ringraziare il Padre onnipotente, per tutti i sacerdoti che ha voluto donarci. Tutti i vescovi e i parroci che si sono succeduti dal XII sec. d.C. in poi alla guida della nostra comunità fino ad oggi. Un particolare ringraziamento a chi il Signore ha voluto donarci, nella sua provvidenza, come esempi sacerdotali. Il primo Don Vito Benedetti che da trentotto anni e più continua ad operare per il bene di questa porzione di popolo. È un esempio per tutti, è il padre della nostra comunità alla cui sapienza presbiterale tutti attingiamo consiglio, conforto, accompagnamento. Ringrazio il Signore perché senza di lui non sarei mai stato capace di cominciare il mio ministero pastorale. La sua costanza nella preghiera, la sua forza indefettibile, il suo deciso equilibrio, il suo sguardo profetico puntato verso orizzonti sempre nuovi, fanno di lui un costante punto di riferimento per tutti. Se in lui il Signore ci dona l’immagine del pastore maturo, nel dono di Don Giancarlo ci concede l’occasione rara di annusare in mezzo a noi, il profumo fresco del crisma che da pochi giorni è traboccato fluente dalle sue mani. La sua giovane età, il suo perenne sorriso, la sua grande trasparenza, la sua premurosa costanza nella preghiera e calorosa presenza accanto a chi vive momenti di particolare sofferenza, sono il segno tangibile di un Dio che chiama ancora tanti giovani affinché mostrino il volto colorato e profumato del suo eterno sacerdozio. Un prete maturo e uno giovanissimo sono doni rari per una comunità parrocchiale. Ringraziamo insieme lo Spirito Santo per le sue sorprese e invochiamolo ogni giorno sul capo dei suoi ministri.

 

  1. “dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano” (Lc 11,3)

 

Sulla porta della sacrestia della nostra Chiesa Matrice, su di un cartiglio, si legge l’iscrizione : “Deo Trino et Uno; sacrificum et holocaustum sempiternum”   in cui il “sempiternum” detta il ritmo eucaristico: eterno, senza fine: ogni giorno da secoli, da quella porta i ministri del Signore sono usciti ed escono ancora per perpetuare, sull’altare, l’unico sacrificio di Cristo alla Santissima Trinità. Ogni giorno ci viene offerto sulla mensa il pane che chiediamo nella preghiera del “Padre nostro” e ogni giorno dovremmo approfittare di questo cibo.

Insisto sempre che il momento centrale della consacrazione del pane e del vino sia vissuto IN GINOCCHIO, per chi se lo può permettere. Non è un gesto di sottomissione o servilismo nei confronti di un Dio padrone. Anzi! Il primo a mettersi in ginocchio davanti a noi è stato proprio Lui che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Se vuoi guardare Dio che si è fatto bambino negli occhi, come si fa con tutti i bambini, ti devi mettere alla sua stessa altezza, ti devi piegare a livello del suo campo visivo, altrimenti continuerai a guardarlo dall’alto verso il basso.

Tutti coloro che supplicano il Signore lo fanno prostrandosi a Lui e la Scrittura utilizza un verbo preciso, proskunew, cioè prostrarsi, adorare, soltanto in un caso particolare: quando ci si trova davanti al Signore risorto. Inginocchiarsi, allora, significa riconoscere la potenza della risurrezione di Cristo. Non è un atto di schiavitù, ma di servizio: quando le nostre mamme si mettono in ginocchio per lavare il pavimento nei punti più nascosti, sotto i nostri letti non lo fanno per senso del dovere, ma per amore alla famiglia!

 

Il gran Dottore della Chiesa Sant’Agostino, Vescovo di Ippona, ci lascia un prezioso commento al “Padre Nostro” nella sua opera esegetica sul Discorso del Signore sulla montagna, libro II, capitolo 7:

“Come a chi ora si nutre di cibo, poi soffre la fame, ogni giorno è necessario il pane, affinché con esso si ristori chi ha fame e si riprenda chi non si regge in piedi. Così dunque il nostro corpo in questa vita, prima della finale immunità dal bisogno, si ristora con il cibo perché avverte la dispersione di forze; allo stesso modo l’anima spirituale, poiché subisce mediante gli affetti terreni come una dispersione di forze dalla tensione a Dio, si ristora con il cibo dei comandamenti”.

Il discepolo non è il “cristiano della domenica”, ma il cristiano di ogni giorno, perché ogni giorno avverte il bisogno sovrannaturale di incontrare il Signore, la fame dello spirito. L’Eucaristia è la forza del ringraziamento, non un ringraziamento per forza.

L’Istruzione della Sacra Congregazione dei riti, del 29 gennaio 1973, “Eucharisticum Mysterium” così si esprimeva al numero 37:

“È evidente che la santissima Eucaristia, ricevuta frequentemente o ogni giorno, accresce l’unione con Cristo, alimenta più abbondantemente la vita spirituale, arma più potentemente l’anima di virtù”.

Dovremmo PARTECIPARE ALLA MESSA OGNI GIORNO!

Spesso la vita lavorativa non ce lo consente, ma possiamo provarci. Nella nostra comunità parrocchiale la Messa viene celebrata, nei giorni feriali, al mattino alle 8.30 e alla sera alle 18.30. Quella del mattino potrebbe essere l’occasione per tante mamme che sono libere, dopo aver portato i loro figli a scuola; di tanti che cominciano più tardi a lavorare o che hanno il turno di pomeriggio; di tanti che sentono il desiderio di iniziare la giornata con la “Prima Eucaristia”. Quella della sera è un’opportunità per i più che approfittano della chiusura delle attività oppure perché non hanno il rientro pomeridiano, o di tanti studenti che frequentano la scuola solo la mattina. Non è impossibile andare a Messa ogni giorno, anzi chi entra nel ritmo vitale giornaliero dell’eucaristia non può farne più a meno. Non si tratta di una forma di dipendenza spirituale o di abitudine sacramentale, ma semplicemente perché è vero il detto “l’appetito vien mangiando”. Solo chi assaggia la potenza del corpo di Cristo, non può fare a meno di mangiarlo sempre.

“Ogni giorno” è l’avverbio “senza tempo” della presenza del Signore in mezzo a noi e della fedele risposta della storia di ogni uomo alla sua chiamata:

 

  1. “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua“ (Lc 9,23)

 

Ogni giorno il Signore si offre per noi,

ogni giorno ci dona il suo Corpo,

ogni giorno ci ama nel colore del suo sangue,

ogni giorno è presente nei nostri timidi “grazie”,

ogni giorno si fa vivo sulle nostre tavole,

ogni giorno viene a giornata con noi,

ogni giorno resta qui con noi

e non c’è giorno che non manchi

anche quando non lo pensiamo nemmeno un giorno.

Per questo non finiremo mai di ringraziarLo,

nella gioia e nel dolore,

nella buona e nella cattiva sorte,

ogni giorno della nostra vita!

 

Grazie a tutti per ogni giorno vissuto insieme e per tutti i giorni che Gesù vorrà ancora donarci di vivere insieme, perché la gratitudine non è un avverbio di tempo, ma un verbo coniugato ad un tempo infinito!

 

don Gaetano

Polignano a Mare, 31 ottobre 2009

 

 

 

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