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La ginnastica dell’Amore

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Lavanda dei piedi ai calciatori

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A tutti gli sportivi di buona volontà

L’incarnazione ha cambiato definitivamente la vita della Trinità. 

Egli che “stava presso Dio”, immobile nella sua eternità è diventato movimento. La Parola statica è diventata Verbo, ovvero parola dinamica, azione. Nella sua incarnazione Dio è diventato mobile, a portata di uomo, a portata di storia e da quel momento non ha mai smesso di camminare con noi.

Dio si è spostato per far spazio alla nostra relazione con Lui e non ha voluto aspettare che noi ci disturbassimo per andare da Lui.

Il racconto della pecorella smarrita sottolinea bene questo aspetto:

“Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?” (Mt 18,12)

Il verbo frequentemente usato dagli evangelisti che, è identificativo del percorso di Gesù, è πορεύομαι camminare, andare: Gesù non stai mai fermo. Gesù va!

Anzi se volessimo esagerare con un’espressione tipicamente dialettale: “Gesù non si sa stare fermo!”

D’altronde lo aveva detto apertamente ai suoi discepoli:

“Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo“. (Lc 9,58)

Gesù predicava di villaggio in villaggio, ogni giorno e questo lo portava a fare diversi chilometri a piedi. 

Insomma un Dio con le scarpe da ginnastica.

E se ci facciamo caso l’Evangelo che abbiamo appena ascoltato è così denso di verbi di movimento tanto da descriverci una vera e propria ginnastica dell’Amore.

Si alzò da tavola.

ἐγείρω è il verbo della risurrezione. Chi non reagisce, chi sta eternamente seduto, chi non si muove vive una morte anticipata. Se non decidi di fare movimento sei già morto. Gesù invece si distacca dalla staticità e si mette in piedi, perché prendere la decisione di alzarsi significa mettere in moto la vita e liberarla dalla cadaverica posizione della morte.

Il famoso scrittore e uomo d’affari Stephen R. COVEY, divenne celebre per aver pubblicato nel 1989 un libro dal titolo “7 habits of Highly effective people” (7 abitudini delle persone altamente efficaci), venduto in più di 25 milioni di copie.

All’inizio del settimo capitolo così scrive

“Supponiamo che in un bosco tu ti imbatta in un uomo intento febbrilmente a segare un albero.

“Cosa sta facendo?”, chiedi.

“Non vede?”, è la secca risposta.

“Sto segando questo albero”.

“Ma lei sembra sfinito!”, esclami.

“Da quanto sta segando?”.

“Più di cinque ore”, è la risposta, “e non ne posso proprio più! È un lavoro massacrante”

“Beh, perché non si ferma per qualche istante per affilare la lama della sega?” suggerisci.

“Sono sicuro che farebbe molto più in fretta”.

“Non ho tempo di affilare la lama”, risponde l’uomo in tono irritato. “Sono troppo impegnato a segare!”

Investire del tempo per “affilare la lama”. Questo è l’unico investimento veramente potente che possiamo fare nella nostra vita, un investimento su noi stessi, sull’unico strumento che abbiamo per destreggiarci nella vita e dare il nostro contributo. 

Noi siamo gli strumenti della nostra stessa performance, e per essere efficaci dobbiamo riconoscere l’importanza di dedicare del tempo regolarmente per affilare la lama in tutte e quattro le direzioni.

depose le vesti.

τίθημι è il verbo del mettere via o meglio del mettersi da parte, lasciare. Ogni movimento nasce dall’atto primo di mettere da parte la stanca ipotesi di rinunciarvi. Pensa ad esempio a quando hai deciso di prendere la buona abitudine di fare un po’ di esercizio fisico. Se non sei abituato a esercitarti, il tuo corpo protesterà vivacemente contro questo cambiamento rispetto alle consuete comode regole. All’inizio non ti piacerà. Forse addirittura lo detesterai. Ma tu fallo comunque. Anche se la mattina in cui pensavi di fare jogging dovesse piovere, fallo comunque. “Oh, bene! Piove! Così esercito la mia forza di volontà oltre al mio corpo!”. Non hai a che fare con un rimedio istantaneo; il che ti porterà formidabili risultati a lungo termine.

Per correre bisogna deporre l’indolenza. Per correre ad amare bisogna deporre sé stessi.

prese un asciugamano 

λαμβάνω è il verbo del prendere. Prendere una decisione come si dice in gergo, senza mollare mai.

In «Dare il meglio di sé», documento sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, del 01.06.2018, Papa Francesco spesso sottolinea quanto nella “cultura dello scarto” gli impegni a lungo termine ci spaventino. 

“Lo sport ci insegna che vale la pena abbracciare sfide di lunga durata. L’allenamento e l’impegno costante al miglioramento hanno un valore, proprio come il raggiungimento di beni più grandi che si possono perseguire solo quando le persone non fuggono dalle incertezze e dalle sfide insite nelle responsabilità. In aggiunta, le ulteriori difficoltà, come possono essere gli infortuni e il resistere alla tentazione di barare, aiutano a rafforzare il carattere attraverso la perseveranza e l’autocontrollo.

Il motto del Comitato Olimpico Internazionale, citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte) richiama questo ideale di perseveranza. In un certo senso, la vita cristiana assomiglia più a una maratona che a una gara di velocità. Ci sono molte tappe, alcune delle quali molto difficili da superare.

(«Dare il meglio di sé», 3.2)

versò dell’acqua nel catino 

βάλλω è il verbo dell’allontanare, lanciare. Qui Gesù versa acqua con abbondanza, potremmo dire lancia l’acqua, ma sicuramente insieme all’acqua avrà versato sudore, sangue, dolore.

Lavorare per il miglioramento di sé ad ogni livello è un impegno che costa sangue, ma che diventa imprescindibile se vogliamo raggiungere obiettivi a lungo termine.

La persona è un’unità di corpo, anima e spirito: questo significa che l’esperienza fisica del gioco e dello sport coinvolge e ha un impatto anche sulle altre dimensioni della persona, l’anima e lo spirito. Per questa ragione lo sport prende parte all’educazione integrale della persona. Papa Francesco ha incoraggiato a considerare il gioco e lo sport come opportunità per un percorso formativo globale della persona, percorso che coinvolge la testa, il cuore e le mani, cioè ciò che si pensa, ciò che si sente e ciò che si fa.

cominciò a lavare i piedi dei discepoli 

νίπτω non significa solo detergere, ma togliere con cura ogni impurità perché ritorni a splendere la bellezza. È più simile alla mamma quando lava i piedini del figlio.

Gesù lava i piedi a tutta la squadra dei discepoli, nessuno escluso anche Giuda e Pietro. Nella squadra di Dio non esistono preferenze, tantomeno disparità tra più bravi e più scarsi.

Papa Francesco, parlando ai giovani in occasione del settantesimo anno di fondazione del Centro Sportivo Italiano, disse: “Vi auguro anche di sentire il gusto, la bellezza del gioco di squadra, che è molto importante per la vita. No all’individualismo! No a fare il gioco per sé stessi. Nella mia terra, quando un giocatore fa questo, gli diciamo: ‘Ma questo vuole mangiarsi il pallone per sé stesso!’. No, questo è individualismo: non mangiatevi il pallone, fate gioco di squadra, di équipe. Appartenere a una società sportiva vuol dire respingere ogni forma di egoismo e di isolamento, è l’occasione per incontrare e stare con gli altri, per aiutarsi a vicenda, per gareggiare nella stima reciproca e crescere nella fraternità”.

Ogni componente della squadra è unico e contribuisce in modo peculiare al gruppo. I singoli non sono dispersi nel mucchio, perché ciascuno è considerato nella propria particolarità. Ciascuno riveste un’importanza unica e specifica che rende più forte l’intera squadra. Una grande squadra è formata da grandi singole personalità, che non giocano da sole ma insieme.

Una squadra di calcio, per esempio, può essere composta dai migliori centrocampisti del mondo, ma non sarà una grande squadra se non ha un portiere, difensori, attaccanti e anche un allenatore, un preparatore atletico, un fisioterapista, ecc… Nello sport, i doni e i talenti di ciascun individuo sono messi a servizio della squadra.

D’altronde lo cantava bene De Gregori: “Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”

Non per altro San Paolo nella Lettera ai Romani disegna l’azione più bella della storia, l’assist perfetto dell’amore:

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”. (Rm 12,10)

ad asciugarli

ἐκμάσσω è un verbo composto dalla particella ek e massaomai che in greco letteralmente significa masticare. Ho sempre pensato che questo fosse il punto cruciale della narrazione di Giovanni il quale sostituisce all’ultima cena il racconto della lavanda dei piedi o forse meglio la legge in filigrana. L’amore smisurato di Cristo lo porta non solo a lavare, ma addirittura a masticare a mangiare la parte più infima dei suoi discepoli: i piedi.

Amare i piedi altrui è la regola fondamentale del Vangelo.

“Negli ultimi decenni c’è stata una consapevolezza crescente del bisogno di fair play nello sport, per esempio, che il gioco sia “pulito”. Gli atleti onorano il fair play non solo quando rispettano formalmente le regole, ma anche quando osservano la giustizia in rispetto dei propri avversari così che ciascun contendente possa impegnarsi liberamente nel gioco. Una cosa è rispettare le regole del gioco per evitare di essere sanzionati dall’arbitro o squalificati per una violazione del regolamento. Altra cosa è essere attenti e rispettosi dell’avversario e della sua libertà indipendentemente da qualsivoglia ricaduta regolamentare.” (Dare il meglio di sé, 2.2)

Così il cenacolo diventa la palestra dove ognuno di noi impara a vivere, ad amare e ad amarsi fino all’ultima estrema gara.

È significativo che il sostantivo greco γυμνός da cui deriva anche il termine italiano ginnastica, letteralmente significhi nudo, scoperto, disarmato.

Gesù è crocifisso nudo sulla croce.

Lì combatte la sua ultima battaglia, l’agonia vocabolo che deriva dal verbo greco ἀγωνίζομαι che significa gareggiare, lottare.

Allora anche se non ci passa per la testa, alleniamoci oggi per vincere anche domani la battaglia più dura e così poter ripetere insieme a Paolo:

“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2 Tm 4,7)

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