Omelia della Veglia di Pasqua 2018
Omelia della Veglia
nella Santa Pasqua 2018
Lo scorso 2 marzo ho avuto la grande gioia di vivere una delle esperienze più belle ed intense della mia vita: un mio carissimo amico medico mi ha dato la possibilità di entrare in sala parto, insieme al marito di mia sorella, per assistere alla nascita del mio nipotino, Leonardo Antonino. Un’esperienza incredibilmente forte, ma così forte che è rimasta impressa nella mia esistenza e, per certi aspetti, l’ha cambiata. Quella vita che pian piano viene fuori dal grembo della mamma mi ha fatto guardare negli occhi la potenza che sprigiona una nuova nascita. È un insieme di dolore e felicità, lentezza e sicurezza, delicatezza e frenesia, dolcezza e cruenza, fragilità e forza, sangue e acqua, ferite e amore. Tutto sembra contraddittorio, contrastante, incongruente, ma infondo è l’ossimoro della vita: la gioia e il dolore, l’amore e la morte costituiscono la trama e l’ordito del tessuto di tutta la nostra esistenza. Senza l’una o l’altra, vivremmo una vita sfibrata, scucita, senza consistenza: chi vuole amare senza morire si costringe a vivere un’esistenza rattoppata alla meglio. Chi ama esclusivamente la trama felice della propria vita, va a finire che il dolore gli va sempre di traverso. L’amore e la vita, però, sono inscindibilmente legati dalla legge del “tutto o niente”: se si ama a metà, non è che si vive a metà. Si muore!
Che peccato che l’uomo non abbia la possibilità di assistere all’energia e alla forza che scaturiscono dalla sua stessa nascita: probabilmente toccherebbe con mano il valore della propria vita e il dolore che ne è costata.
Noi uomini pensiamo che la vita sia quasi come un’automobile nuova che ci sia stata regalata: è lì tutta pronta e bella, devi solo girare la chiave e partire e poi fare qualunque percorso anche i più sconnessi rischiando di distruggerla, tanto è regalata. No. La vita ci è stata donata a caro prezzo ed è unica. Una macchina la puoi riacquistare, la vita no. È una e una sola ed hai una e una sola opportunità per poter viverla tutta, non esistono vite sostitutive. Va tutelata, protetta, amata in tutto e per tutto anche quando il dolore e la debolezza sembrano prevaricare. Se solo riuscissimo anche ad intuire la forza di quell’evento unico del nostro parto, forse capiremmo quanta forza si nasconde nella nostra vita e quanto valga la pena viverla senza timore fino alla fine.
San Giovanni nel capitolo 16 (20-23) del suo Evangelo scrive così:
“In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla”.
Chi si arrende alle doglie, non vuole più vivere, e la doglia più grande dell’uomo è la paura. Se nel cuore di una donna l’amore non superasse la paura del dolore, quella donna non riuscirebbe mai a desiderare un bambino.
Non dimenticherò mai le grida di dolore di mia sorella nelle spinte finali: strazio misto a pianto, un dolore violento! Ma neppure dimenticherò mai come, quasi per miracolo, quelle lacrime istantaneamente si siano trasformate in lacrime di gioia nello stesso momento in cui il corpicino di suo figlio ha toccato il suo petto. Incredibile: la potenza della nuova vita non fa dimenticare il dolore, ma lo trasforma, rigenerandolo, in forza di amore.
La gioia non è mai la realizzazione immediata dei propri desideri, ma è sempre l’attesa di un compimento, la gravidanza della felicità: tutto quello che risponde alla legge del “tutto e subito”, elargisce solo surrogati di felicità: la ricchezza, il facile guadagno, il benessere assoluto, il potere, il prestigio, il divertimento sfrenato, il sesso usa e getta, il tradimento del proprio partner regalano l’illusione di una felicità immediata che ha tutto il sapore dell’euforia dell’acquisto di un paio di scarpe nuove: le hai indossate e già pensi ad acquistarne altre.
La felicità sta alla fine della gestazione: un lavoro che ti è costato sangue e fatica; un esame superato dopo il travaglio dello studio incessante; la fatica di aver riconquistato il cuore di un amico lontano; la forza dell’anima per aver teso la mano e perdonato chi ti ha fatto davvero male; il parto lungo e doloroso che ti ha fatto tornare indietro e ricomporre la tua famiglia dopo averla tradita.
È strano ma la vita non sta nella paura di iniziare, ma nella gioia di completare. Quante esperienze rimangono congelate nel cassetto della nostra storia solo per la paura e quante per lo stesso motivo non avremo mai la gioia di vivere. Una delle realtà più difficili nella vita è il rammarico di non aver fatto quello che avremmo potuto fare, è un dolore lancinante perché è fine a se stesso, è sterile. Quante volte pensiamo: “se potessi tornare indietro! Se il Signore mi regalasse ancora qualche altro giorno! Se avessi perdonato! Se avessi amato i miei genitori quando ancora erano in vita!”. La paura sottrae le possibilità alla vita.
Se ci pensate ogni parto travaglio inizia, quasi sempre, con la rottura delle membrane quella che in gergo chiamiamo la rottura delle acque. Così la Pasqua nasce dalla rottura delle acque del Mar Rosso come abbiamo cantato nel Canto di Mosè in Esodo 15: il mare si ruppe in due parti e il popolo passò illeso attraverso il mar Rosso.
C’è poco da fare, per nascere alla vita nuova è necessario rompere con il mondo vecchio. Se ci pensiamo, per quanto vitali, ci sono mondi che ci avvolgono, che ci nutrono, ma che non ci lasciano liberi. Il bimbo lascia l’utero della mamma, perché non ha solo bisogno di vivere, ma anche di esistere. Anche noi, non possiamo rimanere intrappolati in un mondo che ci nutre ma che ci tiene schiavi. Pensate a quante volte rimaniamo incatenati a situazioni che ci nutrono di dolcezza, di attenzioni, di emozioni e ci tengono in vita mantenendoci legati al cordone ombelicale della loro dipendenza affettiva.
Se esageri con l’alcool, se fai uso di sostanze stupefacenti, se sei ammalto di gioco, pensi che tutte queste realtà ti diano la serenità, la felicità, in realtà ti sottraggono al vita. Se tradisci tuo marito, tua moglie, con un’altra donna o un altro uomo, tutto ti sembra bello e normale: in realtà quella è una relazione che ti incastra nell’utero asfittico della morte della tua famiglia.
Perché l’amore non si coniuga mai al participio, l’amante; al contrario l’amore vero è sempre “perfetto”, l’amato.
La vita nuova è sempre in una rottura, in un taglio. Coraggio, allora, spezziamo i legami che ci rendono oppressi e per cominciare a respirare con i nostri polmoni la nostra esistenza.
Affidiamoci alla mani di Gesù: è Lui l’ostetrico che ci tira fuori dalle catene del nostro passato e ci lascia liberi di vivere finalmente.
Sulla croce dal suo costato, aperto dalla lancia del soldato, sgorga sangue ed acqua, gli elementi naturali del parto, i simboli dei sacramenti attraverso cui la Santa Madre Chiesa ci fa rinascere a vita nuova.
Tu nasci dal sangue e dall’acqua quando ti accosti al sacramento della riconciliazione e confessi i tuoi peccati: lì Gesù lava e rigenera la tua anima sudicia di egoismo.
Tu nasci dal sangue e dall’acqua quando perdoni i tuoi nemici, coloro che ti hanno fatto del male, chi ti ha tradito o i tuoi stessi genitori e familiari: come è possibile che dallo stesso sangue che scorre nelle vene degli stessi fratelli, si generi la discordia e la separazione! Il perdono è un parto che costa sangue, ma ricorda che anche la tua vita è costata lo stesso sangue.
Tu nasci dal sangue e dall’acqua quando partecipi alla celebrazione della Messa, e ti siedi a mangiare alla tavola dell’eucaristia, mentre Gesù, da servo e cameriere, ti porta dinanzi la pietanza della sua stessa carne.
Tu nasci dal sangue e dall’acqua quando non auguri la morte al tuo fratello, ma lo aiuti a partorire la sua vita nella libertà
Maria, anche tu come ogni mamma, hai sofferto i dolori del parto:
“Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto”. (Apocalisse 12, 1-2)
Aiutaci a comprendere che non esiste un dolore “per sempre” e che le doglie della sofferenza sono solo temporanee, un preludio ad una nuova vita, sono solo il passaggio, la Pasqua della Risurrezione, attraverso la rottura delle acque di passaggio. Passerà la morte, passerà la notte. Ma l’amore non passerà mai.
Aiutaci ad amare la nostra vita proprio così com’è, a ringraziare sempre i nostri genitori che ce l’hanno donata con tanta sofferenza, a benedire sempre il giorno della nostra nascita e mai a maledirlo: “BENEDETTO IL GIORNO IN CUI SONO NATO”, e a non cedere mai alla disperazione e alla paura della morte, perché chi nasce dall’utero del costato di Cristo sulla croce, vive per sempre e non muore più.
E se la paura del parto ci paralizza, tienici per mano e stacci sempre accanto, dacci la certezza che non siamo soli, perché quel “parto”, insieme a te, diventa “PARTIAMO”.
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